DOVE FINISCE IL NULLA?

di Jonathan Macini

– “Dove finisce il Nulla? Te lo sei mai chiesto?
Beh, il Nulla ha un suo inizio. Per trovarlo basta scavare in profondità, disseppellire qualche banale convinzione, messa lì dalla nostra coscienza, schermare le illusioni del mondo ed ingoiare la paura. Il Nulla incomincia nella pancia, ed è un varco largo appena pochi atomi, ma ampio abbastanza perché la tua anima filiforme riesca passarvici. Oltre il varco niente delimita il Nulla…
La vita è mera distrazione. Da bambino il gioco prende quasi la totalità della tua attenzione, e le cose non cambiano di certo con l’età adulta, anzi. Quello che cambia è le terminologia, così ci ritroviamo a chiamare il gioco con le parole più fantasiose: lavoro, carriera, amore, famiglia, responsabilità, eccetera, eccetera… Comunque lo chiami rimane sempre gioco, ovvero distrazione.
Esistono solo due cose che non hanno a che fare col gioco: la porta che delimita la nostra vita, formata da due superfici opposte che chiameremo nascita e morte, e l’infinito che ci alberga nel quale risiede il Nulla. Ma quale misera parola per descrivere qualcosa di così immenso… Continua a leggere

IL BOSCO

di Jonathan Macini

Dicono che il bosco conosca i segreti. Dicono che abbia occhi nelle fronde degli alberi, e orecchie nelle radici. Io l’ho anche sentito parlare, e la sua voce è il vento che s’incunea tra i rami e accarezza le foglie. Hastur è il suo nome…
D’inverno il bosco è quieto. Il canto dei pochi uccelli è un lamento monotono e privo di significato, un mero impulso istintivo di quelle creature incapaci di abbandonarsi al grande sonno. Il fetore di legno marcio riesce a sopraffare anche il profumo dei sempreverdi, un odore rancido ed antico che mi ricorda la caducità dell’uomo, la sua pochezza di fronte alla vita centenaria di un albero, o a quella secolare di un bosco. Trovo seducente quel verde fosforescente del muschio, che cresce su ogni cosa, come un cancro alieno si espande su alberi e rocce, e anche lui osserva nel tempo del riposo, l’inverno, l’oblio… Continua a leggere

LISA

di Jonathan Macini

Lisa mi disse che aveva un altro uomo la sera dello scorso 13 febbraio. È passato quasi un anno da allora e adesso mi sento molto meglio. Sto addirittura pensando di incominciare un’altra relazione seria, forse con Paola, perché ci intendiamo bene su molti fronti.
Con Lisa ci sono stato insieme cinque anni. Nessuna prima di allora aveva conquistato il mio cuore come ci era riuscita lei, ma di questo me ne sono accorto solo dopo, coltivando una strana mancanza, un’insana assuefazione che non avrei mai pensato potesse colpirmi. Fino a quel 13 di febbraio non c’erano state avvisaglie. Tutto è esploso in un attimo; la fine della nostra storia, dei nostri progetti, ma anche la terribile rivelazione di sentirmi completamente perduto senza di lei. Io che mi ero sempre mantenuto all’erta dalle relazioni asfissianti, io che avevo troncato già tre rapporti seri per evitare coinvolgimenti emotivi incontrollabili, di colpo mi è venuto a mancare il terreno sotto i piedi… e così sono caduto. Ma né io né lei potevamo sapere che sarei caduto così in basso da arrivare a udire i sussurri dei miei mostri più infimi. Continua a leggere

IL TEMPO DI FINIRE – Quarta Parte

 

di Jonathan Macini

Il risveglio è pesante. Una corazzata sul collo che naviga verso una guerra di petrolio, sulle acque di un golfo lontano, troppo lontano per ricordare dove si trova. Apro gli occhi e mi accorgo di avere degli ospiti. Sono le ombre della sera, giunte nella mia cella per ricordarmi che il freddo sta per calare sul deserto di Umk. Perché se il colore della sabbia è rosso del sangue delle antiche battaglie, il freddo delle sue notti è il pianto delle madri, che attesero invano i loro figli partiti per la guerra. Continua a leggere

IL TEMPO DI FINIRE – Terza Parte

Leggi dall’inizio

Qualcuno mi ha detto che nel deserto di Umk la sabbia è rossa per via del sangue versato. Numerose battaglie vi sono state combattute. E se il sangue ha incrostato la sabbia, il vento ha soffiato via i ricordi, là dove il dolore costa poco. Un quadro di paesaggio marziano. Il sole è nascosto. Si drappeggia con delle spesse nubi violacee. Si vergogna delle scene degli uomini alle quali è costretto ad assistere. Ed il calore che emana è più malato di me. Continua a leggere

IL TEMPO DI FINIRE – Seconda Parte

I numeri lanciano la sfida. So che sono complici di Tempo-Che-Non-Esiste. Riconosco il pericolo che arrecano, ma non ci posso fare nulla. Devo accettarla.
Le nove cifre mi parlano insieme, ma non riesco a capire cosa stiano dicendo. Ognuna pretende di essere la più bella, di mettersi accanto a un’altra per essere ammirata meglio, di sfoggiare il proprio valore, reale e non, di potersi duplicare, triplicare, centuplicare, dividere, frazionare, copulare con una compagna per sentirsi più importante, battersi con la vicina per dimostrare chi è la migliore, quella che vale di più. Sono tutti davanti a me, nudi numeri dalla pelle nera, il sei dal ventre grasso, lo scheletrico uno, il due e il cinque flessuosi, l’otto imponente. Insieme mi guardano, si danno delle arie. Continua a leggere

IL TEMPO DI FINIRE – Prima Parte

di Jonathan Macini

Tornare al solito momento
Desiderato e odiato
Eppure necessario
Perché tante notti mi attendono
Notti difficili
Dove neanche gli amici più ingannevoli
Possono farmi dimenticare questa verità
Perché io, che lo voglia oppure no
Sono condannato a macchiare queste pagine.

“Di cosa ho bisogno?” Urla l’erba malata sul prato. Forse solo di un po’ d’acqua.
Il giorno sbiadisce, tra allergici grattamenti e ventri pesanti. Tutto ciò dopo il cambiamento, nel mezzo di un nuovo condizionamento, e senza nemmeno un po’ di whisky. Bucare una nuvola di passaggio. Una sete irritante mi desertica le labbra. C’è ancora il sole, impegnato in giochi erotici con le fronde dei pochi alberi rimasti, ed io li osservo desiderando la notte. Aspetto. Continua a leggere

LASCIAMI PARLARE!

di Jonathan Macini

La cena era perfetta, ma lui ebbe da ridire sul condimento dell’insalata di radicchi selvatici. Troppo aceto, e poi a lui piaceva quello normale, non balsamico. Lei provó a controbattere, ma lui le mise un dito sulle labbra e sorrise. Piú tardi lei provó a sintonizzare il canale delle prime visioni, ma lui le spiegó perentorio, ma con gentilezza, che avrebbe visto il suo talk show preferito. Lei non seppe cosa dire e andó in cucina a fumarsi una sigaretta. Quando lui fiutó il fumo le chiese, ringraziandola in anticipo, di spegnerla. Fu a quel punto che lei afferró le forbici.

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LA FOTO

di Jonathan Macini

Non riesco a stare fermo, non più. Anche mentre tutto tace, e il respiro del mondo si fa sottile, attutito dallo spessore di queste porte-finestre dai doppi vetri, odo il rintoccare dell’orologio in cucina, lo scorrere inesorabile della giornata. Prigioniero di quattro mura e di un accesso alla rete, mi trascino davanti allo schermo e allungo lentamente la mano verso il comando di accensione. Mi fermo, non proprio indeciso ma infastidito dalla sensazione di “non-scelta” che mi pervade. Vorrei resistere solo per dimostrare a me stesso di non aver bisogno di questi stupidi giochi tecnologici. Potrei farmi un caffè d’orzo e continuare a guardare la mia immagine riflessa nel vetro della finestra, soffiare sulla superficie scura della bevanda e godere del tepore che rimbalzando ti accarezza le labbra e la punta del naso. Potrei fare finta di essere da solo, di non avere accesso a un miliardo di vite e a dieci miliardi di storie, sedermi sul divano ad aspettare il volgere delle ore. Ma spingo il pulsante e la ventola incomincia a girare, odo un bip familiare e lo schermo si illumina. Presto verrò risucchiato nel turbine della rete, con tutte le sue faccine buffe e i suoi intenti vuoti. Solo un momento, un minuto appena… Mi alzo mentre una musichina mi avverte che la macchina è pronta. La ignoro e raggiungo le scale. Chissà come mi è venuto in mente…
Al piano di sopra c’è la vecchia libreria. Quante volte mi sono chiesto il motivo per cui continuo a tenermi una montagna di carta, in un’epoca in cui una manciata di click ci dividono da tutto ciò che vogliamo sapere. Nostalgia o semplice pigrizia? No, non sono mai riuscito a trovare una risposta…
Estraggo un libro di illustrazioni natalizie di Norman Rockwell che avrà come minimo trent’anni. Ricordo ancora il giorno in cui lo comprai in un negozietto tutto a sconti del centro di Londra. Ci trovai anche un portfolio di Gustav Dorè… Devo averlo messo qui, mi dico, e non mi domando neanche perché mi sovvenga proprio adesso. Scorro velocemente le pagine sulla punta del pollice e noto con piacere che ancora conserva il suo odore, probabilmente dovuto all’inchiostro o alla qualità della carta. Le sue centotrentaquattro pagine mi passano davanti agli occhi nel tempo di pochi secondi. Non c’è nulla. Di nuovo, con il pollice della mano sinistra, faccio scorrere il libro. Deve essere qui, ne sono sicuro… Eccola!
Nella foto ci sono io, trent’anni più giovane. L’immagine è una semplice stampina dieci-quindici. Si vede chiaramente sullo sfondo la Royal Pavillion di Brighton. Accanto a me c’è una ragazza, capelli neri, lunghi, lisci e un sorriso radiante. Non so quanto tempo rimango a fissare quella foto. Due minuti, forse dieci, in ogni caso, ci metto tutto il tempo necessario per ricordare quei giorni, e per tappare i buchi della memoria con un po’ di sana immaginazione.
Tiziana, chissà che fine hai fatto? Potrei precipitarmi davanti alla macchina e fare una piccola ricerca in rete… ma certe storie è meglio che rimangano storie, e Tiziana è meglio che rimanga semplicemente la ragazza di quella foto.

Jonathan Macini – Altri Lavori

AMANDA

Quando ripenso ad Amanda mi lascio ingannare dalla convinzione che non abbia minimamente sofferto. Certamente non si aspettava di finire così…
Ci siamo frequentati per nove mesi come una coppia normale, con le uscite del sabato e della domenica, il cinema del mercoledì a metà prezzo, le vacanze al mare e i finesettimana in campagna dai suoi. Avevamo anche deciso di bruciare qualche tappa… beh, a lei non sarebbe dispiaciuto che la portassi all’altare.
Una sera di ottobre mi prese una strana voglia. Mentre stavo sopra le chiesi di girarsi. Lei obbedì, ma non si aspettava le mie mani sul collo.

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