IL 91

Il 91 è l’autobus notturno. Gira praticamente a vuoto per le vie deserte della città, come una sentinella orgogliosa della sua ronda. Sfreccia davanti alle vetrine illuminate dei negozi, s’infila sicuro nei viottoli del centro storico, sorpassa, quando può, i veicoli per la pulizia delle strade, correndo come un pazzo fino al capolinea della stazione. Laggiù l’autista, che sembra uscito da un film degli anni settanta, si accende una sigaretta e si legge il giornale ancora fresco d’inchiostro. Dieci minuti e poi via, a ricordare ai nottambuli e agli ubriachi che, nonostante il silenzio e l’oscurità, la città sta solo dormendo.

Gano per 101 Parole

LASCIAMI PARLARE!

di Jonathan Macini

La cena era perfetta, ma lui ebbe da ridire sul condimento dell’insalata di radicchi selvatici. Troppo aceto, e poi a lui piaceva quello normale, non balsamico. Lei provó a controbattere, ma lui le mise un dito sulle labbra e sorrise. Piú tardi lei provó a sintonizzare il canale delle prime visioni, ma lui le spiegó perentorio, ma con gentilezza, che avrebbe visto il suo talk show preferito. Lei non seppe cosa dire e andó in cucina a fumarsi una sigaretta. Quando lui fiutó il fumo le chiese, ringraziandola in anticipo, di spegnerla. Fu a quel punto che lei afferró le forbici.

101 parole

QUANDO SI SPENGONO LE LUCI

C’è un momento del giorno, anzi della notte, in cui, per come possano andare le cose, immancabilmente mi prende l’angoscia. Normalmente sopraggiunge verso le una, ma di sabato si arriva anche alle due e mezzo. È l’attimo in cui Aldo, proprietario del bar, abbassa le luci. L’ambiente, privo del neon del reparto paste e illuminato vagamente dai frigoriferi per le bibite gassate, perde di quella vitalità di cui si riempie sistematicamente ogni giorno. In quell’istante mi sento braccato, come se le ombre volessero farmi fuori. Così mi scuoto, indosso il cappotto e saluto.
Ma è dura trovare la via di casa.

Gano per 101 Parole

AMANDA

Quando ripenso ad Amanda mi lascio ingannare dalla convinzione che non abbia minimamente sofferto. Certamente non si aspettava di finire così…
Ci siamo frequentati per nove mesi come una coppia normale, con le uscite del sabato e della domenica, il cinema del mercoledì a metà prezzo, le vacanze al mare e i finesettimana in campagna dai suoi. Avevamo anche deciso di bruciare qualche tappa… beh, a lei non sarebbe dispiaciuto che la portassi all’altare.
Una sera di ottobre mi prese una strana voglia. Mentre stavo sopra le chiesi di girarsi. Lei obbedì, ma non si aspettava le mie mani sul collo.

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VENDETTA

di Jonathan Macini

Lui l’aveva legata al vecchio radiatore della cantina, buia e odorante di muffa. Le aveva fatto mangiare carne in scatola e cioccolatini avariati. L’aveva terrorizzata con le gabbie dei ratti, col rumore del trapano puntato alle tempie e con le tenebre opprimenti di quella prigione. Davanti a lei si era masturbato fino allo svenimento, ma non l’aveva neanche sfiorata. Non poteva. Non ci riusciva…
Durante i settantatré giorni di prigionia lei ebbe solo un’opportunità, e non se la fece sfuggire. Mentre eseguiva il suo ultimo gioco, gli tolse dalle mani il trapano e senza esitare ridusse in poltiglia la sua faccia.

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LETTURE INTERROTTE

I ragazzini giocavano per strada davanti a casa, con un pallone sgonfio e un vecchio boomerang di legno. Ve n’erano di tutte le razze ed i colori. Il sabato pomeriggio era così, soprattutto in quelle belle giornate d’aprile.
Io il sabato pomeriggio mi metto sempre a leggere. Leggo molto, ma se i ragazzini fanno troppa confusione mi distraggo, perdo il filo e allora… mi arrabbio.
Dalla finestra beccai un muso nero col mio Remington 700. La testa gli esplose come un’arancia. Prima che i suoi compagni potessero dileguarsi ne feci fuori altri tre. Poi finalmente riuscii a finire il capitolo.

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E IL MONDO NON FU PIÙ LO STESSO

Ero al bar a farmi il solito gotto delle tre meno dieci… Non sto dietro ai tempi, io… bevo quando mi va, alle otto di sera come a quelle di mattina, ma quell’occasione me la ricordo bene perché guardai l’orologio sopra le mensole dei superalcolici; le due e cinquanta spaccate. La Bruna se ne uscì dalla sala tombola bestemmiando, Mario entrò dalla porta a vetri urlando al cellulare mentre il Lillo alternava le grattate di scimmia a quelle del gratta e vinci. Poi la TV vomitò di un aereo schiantato in una torre, e il mondo non fu più lo stesso.

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BATTUTACCIA

Era un giorno di quelli aggrappati al bancone, col fuoco in corpo e la mente in balia del vortice alcolico. Succede di rado perché, detto in tutta onestà, in quelle condizioni faccio proprio schifo. Di solito rimango su un livello alticcio e giocherellone, ma quel giorno andò così…
Nel bar entrò Pinuccio, mogio come un gattino infreddolito. La moglie era dal ganzo, al solito… A me scappò una battutaccia, lui mi guardo sbieco e se ne andò. Tre giorni dopo lo trovarono nel fiume, gonfio come un canotto.
Mi ci volle un anno per levarmi di dosso il senso di colpa!

Gano per 101 Parole

LA TITTA

La Titta si spogliò al lume della vecchia e sbilenca abat-jour del comò. Le ombre le nascondevano caritatevolmente le smagliature e le vene varicose. Vista di lato pareva ancora una leonessa, come a bei vecchi tempi…
– Gano, ti ricordi la prima volta che l’abbiamo fatto?
Io da sotto il lenzuolo ammiccai. – Certo, Tittina. Al pratone… La guardia giurata ci beccò sul più bello…
Poi si sfilò il reggipetto e si sdraiò accanto a me.
– Quanti anni son passati?
– Non pensarci piccola, vieni qui…
Da fuori ci arrivò la sirena di un’ambulanza, ma era ancora distante. Molto distante…

Gano per 101 Parole

LA BALLERINA

Girava, saltava, si contorceva soltanto per me. In sogno veniva a trovarmi ogni volta che che lasciavo le porte della mente spalancate. Questo succedeva di solito quando non ne potevo più dell’ufficio e me ne andavo in campagna, a casa di Guglielmo. Lui mischiava fiori esotici a radici campestri. La tisana faceva rilassare ed apriva la mente, a quanto diceva il mio amico, ed allora arrivava la ballerina.
Potevo distinguere un arco dietro di lei, e più oltre una scura foresta. Sapevo che la foresta significava qualcosa di definitivo, ma non specificatamente qualcosa di brutto.
“Intratteniamoci insieme, fino a quando durerà…”

Jonathan Macini per 101 Parole